La mia esperienza con La Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano (CADMI) inizia lo scorso aprile 2015.

Prima di allora da circa tre anni ero volontaria presso Demetra, centralino antiviolenza di Trezzano sul Naviglio, ed è grazie a Demetra che mi è stata offerta l’opportunità di essere “formata” dalle operatrici di accoglienza del CADMI, Cristina, Malvina e Tiziana, partecipando a un progetto denominato “La stanza dello Scirocco”.

Da quel momento in poi ho affiancato le stesse e sto per diventare anche io una operatrice di accoglienza per quelle donne che subiscono violenza all’interno della famiglia da parte di mariti, conviventi, fidanzati o altri famigliari.
All’inizio mi sembrava tutto nuovo e strano rispetto alla mia precedente esperienza e piano piano ne ho compreso la motivazione. La “rigidità” delle operatrici (così mi sembrava il loro atteggiamento inizialmente) e la loro fermezza e serietà mi sembravano talvolta un tantino esagerate. Dopo qualche mese e dopo avere assistito a qualche colloquio telefonico e vis-à-vis ho modificato il mio modo di percepire il loro “agire”.

Le donne che si rivolgono al centro antiviolenza CADMI distretto di Corsico vivono situazioni ben più gravi e pericolose rispetto alle donne che si sono rivolte sino a oggi al centralino antiviolenza Demetra. A quest’ultimo infatti chiedevano aiuto e consiglio donne in difficoltà all’interno del proprio rapporto di coppia, in quanto subivano pressioni di tipo psicologico da parte del partner, o stavano attraversando periodi di difficoltà in caso di separazione ad esempio. La loro richiesta di aiuto quindi riguardava la sfera relazionale, psicologica o legale. Al centro antiviolenza CADMI, invece, giungono telefonate o visite da parte di donne che nella maggior parte dei casi si trovano in grave pericolo per la loro incolumità e per la loro vita (nonché per la vita dei loro figli).
La situazione va affrontata con i modi più idonei e in tempi veloci se non addirittura immediati, dando il via a un processo che vedrà coinvolti diversi enti (polizia locale o corpo dei carabinieri, il comune di residenza della donna, i servizi sociali dello stesso comune, la referente nonché responsabile del CADMI di Milano).
Le azioni intraprese, di qualsiasi natura esse siano, sono di vitale importanza per la donna e per gli eventuali figli minori della stessa. Niente è lasciato al caso, a partire dai colloqui telefonici della durata di un’ora circa (se c’è tempo per poterli fare) al fine di acquisire il maggiore numero di informazioni prima di programmare un’azione che può essere immediata o che preveda un incontro di persona con la donna stessa.

Ciò che ripetutamente le operatrici di accoglienza sottolineano, parlando con le donne che chiedono aiuto, è la segretezza delle informazioni che vengono dalle stesse rilasciate e soprattutto la posizione della donna al centro. La donna al centro…, la donna al centro…, la donna al centro… Solo oggi dopo qualche mese sono in grado di comprendere che cosa intendessero quando dicevano al telefono o di persona: “Stia tranquilla signora perché per noi (o per il CADMI) la donna è al centro”. Quest’affermazione significava che la donna in prima persona avrebbe scelto il percorso da seguire, e nessun altro. Le operatrici di accoglienza le avrebbero mostrato la pericolosità della situazione che la stessa ed eventualmente i suoi figli stavano vivendo, ma l’ultima parola era della donna. La donna avrebbe scelto se chiedere ospitalità in una comunità o in una casa protetta, se sottoporsi a un percorso di tipo psicologico, se chiedere una consulenza legale o se pure tornare a casa, purtroppo, con un nulla di fatto.

Questo è successo la settimana scorsa. In un caldissimo agosto milanese si rivolge alle forze dell’ordine di Milano una donna residente a Corsico con due figli piccoli, 16 mesi e 3 anni e mezzo per denunciare il convivente. L’operatrice di accoglienza CADMI esegue un’intervista telefonica e decide di raggiungerla insieme a una responsabile CADMI presso le forze di polizia per incontrarla personalmente. Dopo una lunga chiacchierata, e dopo essersi resa conto del rischio che la donna correrebbe tornando a casa, la donna si decide a chiedere ospitalità. Entro sera grazie all’intervento CADMI e delle forze dell’ordine viene ospitata in una comunità con i suoi due bambini. Qui poi sarebbe iniziato un percorso al riparo da pericoli secondo le modalità della comunità stessa. Dopo qualche giorno, tuttavia, la donna decide di lasciare la comunità e di fare rientro a casa. Non so che cosa possa avere influito sulla sua decisione, ma niente e nessuno avrebbe potuto impedirle di farlo. Le operatrici di accoglienza di fronte a casi come questi provano del rammarico e restano in attesa comunque che qualche cosa possa mutare e che la donna possa di nuovo rivolgersi al centro antiviolenza per proseguire il percorso appena iniziato.

A volte ciò che assistiamo in televisione o leggiamo su internet o sui giornali sembra lontano dal nostro mondo e pare che non ci tocchi davvero, o che non sarà mai parte della nostra esperienza, quasi facesse parte di una fiction. L’esperienza al centro antiviolenza CADMI, per quanto mi riguarda, è come se avesse tradotto in pratica tutte quelle parole o quelle immagini che fino a oggi avevo solamente letto o guardato in qualche telegiornale, film o documentario. Certe violenze esistono veramente e il paradosso è che la maggior parte delle donne violate e abusate non sono poi così fragili e impotenti, come si potrebbe pensare, tutt’altro. Ciò che mi chiedo è: “Come ha potuto questa donna sopravvivere a tutto questo dolore, a tutta questa sofferenza, a tutta questa violenza, a tutte queste umiliazioni?”. Dopo alcune riflessioni, sto cambiando il mio modo di considerare la donna e la sua forza. Solo donne forti e coraggiose, nonché madri coraggio, sono in grado di sopportare tutto questo. L’unico problema è che non sono consapevoli della loro grande e inesauribile FORZA!